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Corpo di dolore e corpo di gioia


Il corpo di dolore è quella parte di noi che si nutre di dolore e, per questo, cerca di provocare o amplificare esperienze dolorose. Prima di spiegare i meccanismi del corpo di dolore, è necessario aprire una breve parentesi sulla struttura energetica dell'uomo.


La struttura energetica dell'uomo

Noi esseri umani siamo composti di una personalità, un'anima e uno spirito.

Lo spirito è la scintilla di vita che anima ogni cosa, è l'essenza divina che soggiace sotto ogni apparenza, è il mistero profondo che rende vivo l'universo.

L'anima è il grande intermediario fra spirito e materia e, nel contempo, rappresenta il frutto della loro unione. Quando spirito e materia si incontrano, l'anima prende forma e porta a compimento l'opera di integrazione fra queste due dimensioni. A livello individuale, l'anima può essere considerata come il nostro potenziale luminoso. L'obiettivo, allora, è diventare come la nostra anima, il che significa essere in grado di incarnare nella materia le qualità divine.

La personalità è lo strumento attraverso il quale possiamo operare nel mondo materiale. La personalità a sua volta è composta dal corpo fisico-eterico, dal corpo emotivo e dal corpo mentale. Parliamo di personalità integrata quando questi tre corpi agiscono uniti e in coerenza.

La coscienza umana fa un viaggio di continue identificazioni a partire dalla personalità e dai suoi corpi (partendo dal fisico, per spostarsi a quello emotivo e poi a quello mentale), fino a immergersi nella personalità integrata. L'identificazione si sposta poi sul corpo dell'anima (con non pochi conflitti caratteristici di questa fase di passaggio), per arrivare infine ai piedi dello spirito.

Questo viaggio della coscienza, questo nostro divenire, permette all'universo di fare esperienza e allo stesso tempo ci permette di imparare a padroneggiare la materia e, così facendo, di purificarla (cioè "renderla sacra"). Ogni volta che impariamo a governare i nostri corpi inferiori, e che pian piano ci identifichiamo con quelli superiori, insegniamo alla materia che li compone come riconoscere e rispondere alle frequenze più sottili, rendendola sempre più capace di incarnare il proposito divino.

Fatta questa premessa, torniamo al nostro argomento: il corpo di dolore. 


Il corpo di dolore

"Corpo di dolore" è una espressione che è stata diffusa da Eckhart Tolle e si riferisce a quella parte di noi che si nutre di dolore, conflitto, frustrazione, rabbia, ansia, sensi di colpa, depressione, paura e di tutte quelle frequenze che abbassano l'energia vitale di una persona, proiettandola in un mondo senza speranza.

Possiamo considerare il corpo di dolore come un aspetto dell'ego, laddove l'ego è la coscienza identificata con il mondo materiale, quella che abbiamo definito come "personalità". L'ego vive nel tempo e nello spazio, è soggetto al dualismo, si rafforza nella competizione e nell'opposizione, cerca di avere sempre il controllo e teme la morte.

Il corpo di dolore è continuamente presente in noi, ma pochi sono consapevoli di averlo. Esso si alimenta non solo di dolore emotivo o eccessiva sensibilità, come abbiamo ormai compreso, ma anche di freddezza, cinismo e di tutto ciò che contrae. Il suo intento è oscurare il più possibile la luce dentro l'individuo e negli altri individui intorno a lui.


Il piacere negativo

Un concetto simile è descritto da Eva Pierrakos quando quando parla di "piacere negativo", tema che approfondisce nel suo libro Il male e come trasformarlo.

La spinta del piacere è alla base di ogni attività. Il punto è: che tipo di piacere ci sta spingendo? È un piacere che espande l'anima oppure la contrae?

Il piacere negativo è quella sottile soddisfazione che si prova nello stare male (sì, una sorta di masochismo), che si rivela anche in coloro che si interessano continuamente di eventi distruttivi e tragedie. 

Le persone che cercano di rinforzare e confermare a se stesse le esperienze negative sono agganciate dal piacere e dalla compulsione di star male. La soddisfazione che provano nel restare nel ruolo della vittima – sguazzando nei guai, nelle tragedie e nella frustrazione – è in realtà la soddisfazione del loro corpo di dolore nel quale si sono identificate (ovviamente spesso in modo inconscio e non per scelta razionale).


Il viaggio di ritorno verso Casa

Il corpo di dolore è molto furbo e si adopera con ogni stratagemma per portare la nostra attenzione, i nostri pensieri e le nostre frequenze a uno stato di dolore e di disagio, perché è ciò che lo rende vivo, mentre perde forza con l'amore, la gioia, la speranza, le soluzioni, le prospettive, le rinascite.

Abbiamo visto che siamo composti di un corpo fisico, emotivo e mentale, che insieme vanno a formare la personalità. Ciascuno di questi corpi è a sua volta composto di atomi di varia densità, capaci di vibrare a diverse frequenze, dalle più pesanti alle più sottili.

Per esempio, il corpo emotivo è composto di "atomi emotivi" che possono vibrare da frequenze più pesanti, come la paura e l'inquietudine, a quelle più leggere, proprie delle emozioni superiori che aprono il cuore e coltivano la fiducia e la speranza. Più il nostro corpo emotivo è composto di atomi "leggeri" e più si allineerà facilmente alle emozioni superiori.

Possiamo concepire il corpo di dolore come l'insieme degli atomi più pesanti della personalità, quegli atomi cioè che facilmente vibrano a frequenze inferiori.

La nostra coscienza, nel suo viaggio di ritorno verso Casa, si identifica man mano con i vari corpi, da quelli più densi a quelli più sottili, laddove all'inizio del viaggio ciascun corpo è maggiormente formato da atomi di sostanza più pesante, che, man mano, vengono sostituiti con atomi di sostanza più leggera, in quanto l'individuo impara a nutrire e a richiamare quest'ultimi, a discapito dei primi.

È perfettamente normale che il corpo di dolore, cioè l'insieme degli atomi che vibrano su frequenze inferiori, voglia perpetrare se stesso e fare esperienza del dolore e dell'oscurità. Questo perché la materia dei nostri corpi è una forma di vita che si trova sull'arco involutivo, cioè ha bisogno di densificare la propria vibrazione per poter avanzare, mentre la coscienza umana si trova sull'arco evolutivo, cioè si sta muovendo verso i piani più sottili.

In pratica, la coscienza umana, che vi muove sull'arco evolutivo, fa uso dei corpi della personalità che appartengono all'arco involutivo. Ciò significa che la personalità, quando lasciata a se stessa, tende a muoversi verso vibrazioni più dense e ad accumulare atomi pesanti, perché è il suo "compito", mentre il compito dell'individuo è tornare a Casa e, per compiere tale viaggio, deve imporre una frequenza superiore alla materia dei suoi corpi, così da trasmutarli.


Diventare maghi

A questo punto è chiaro perché avvertiamo un senso di conflitto e di opposizione mentre cerchiamo di crescere, disciplinare noi stessi e imporci di mantenere la rotta: il corpo di dolore e i suoi atomi pesanti spingono da una parte, mentre la nostra anima spinge dall'altra.

Se siamo presenti a noi stessi, se conosciamo la missione del nostro cammino, non abbiamo motivo di dubitare della nostra riuscita. Se invece viviamo addormentati, preda degli automatismi, il timone sarà preso dalle forze involutive.

Nel realizzare tutto questo, non dobbiamo colpevolizzare niente e nessuno, perché la vita è così, è un crocevia di esistenze che si muovono ciascuna lungo il proprio percorso. Quanto a noi, siamo entità energetiche che usano la materia del pianeta Terra per fare delle esperienze e imparare a diventare maghi, cioè imparare a padroneggiare la sostanza dei nostri corpi, a dirigerla, a governarla, e infine a trasmutarla. La materia (o perlomeno parte di essa), in tal modo informata e plasmata, diventa sempre più sensibile e ricettiva a un proposito superiore.

Ogni volta che scegliamo azioni, emozioni e pensieri superiori, noi educhiamo la materia che compone i nostri corpi, la trasmutiamo, e con essa trasmutiamo la realtà, divenendo sempre più maghi.


Le origini

Qualunque difficoltà può crearci uno stress, è normale, ma il corpo di dolore coglie ogni occasione per creare delle amplificazioni. La sua specialità, inoltre, è usare i traumi del passato per fissare sempre più in profondità le credenze negative.

Conosciamo tutti delle persone che si fossilizzano sulla negatività dei loro vissuti e si convincono di essere continuamente sfidate, sfortunate, prese di mira... e così facendo attirano ulteriore negatività ed esperienze disagevoli. Danno potere al corpo di dolore, ossia a quel piacere negativo di sentirsi sul podio della "sfiga", facendo a gara a chi ha più tragedie. 

È difficile cogliere questo piacere negativo, accorgersi del suo vibrare. È una vita che mi rapporto con il corpo di dolore e devo dire che è davvero molto furbo e persuadente, quindi occorre grande presenza da parte nostra per intercettarlo.

Quando mi parte un'emozione disturbante, mi metto in ascolto e cerco di ricordarmi che, se mi faccio trascinare dalle perturbazioni interiori e dai relativi rimuginamenti, andrò ad alimentare il corpo di dolore, cioè a rinforzare le frequenze più basse delle mie emozioni e dei miei pensieri. 

Il meccanismo del corpo del dolore si radica durante l'infanzia. La psicologia lo spiega come un meccanismo di sopravvivenza che il bambino attua: essendo che egli non può razionalizzare, quindi non riesce a rifiutare o criticare le persone da cui dipende – i genitori o chi si prende cura di lui –, l'unico modo che ha di sopravvivere, quando prova conflitti e vissuti frustranti, è quello di associarvi una corrente di piacere.

Bisogna dire che la dinamica è generata anche da memorie risalenti ad altre vite... e se non si crede in altre vite va bene lo stesso, perché comunque ciò che ci serve è tutto riassunto nella vita attuale, la quale ci mette di fronte a ciò su cui dobbiamo lavorare, a ciò che è rimasto in sospeso e va messo a posto. 


L'identificazione

Il problema del corpo di dolore non è il corpo di dolore in quanto tale, ma il fatto che noi ci identifichiamo con lui e gli lasciamo completamente le redini in mano. 

Se abbiamo dei pensieri o delle emozioni, diamo per scontato che siano "nostri" e non siamo consapevoli che, invece, potrebbero essere il frutto di condizionamenti. Ecco che, se abbiamo cattivi pensieri, pensiamo di essere cattivi e, se abbiamo buoni pensieri, pensiamo di essere buoni, e così via.

Noi, in realtà, siamo più dei nostri pensieri, ma lo scopriamo solo quando prendiamo l'abitudine di osservare in modo distaccato i processi della nostra mente e delle nostre emozioni, senza precipitare dentro la loro narrativa.

Cosa fa l'identificazione? Ci rende poco intelligenti e ci fa ribaltare i ragionamenti per difendere ciò con cui siamo identificati. Mi spiego meglio. Se siamo identificati con il corpo di dolore, lo saremo anche con le sue valenze e tutto ciò che lo tiene in vita, per esempio con la paura. Allora, appena proveremo paura, decodificheremo la realtà in maniera da giustificare la paura stessa. Non avremo altra scelta che far muovere il resto del mondo, emozioni e pensieri compresi, in funzione di essa.

In questi casi non siamo consapevoli che facciamo certe scelte e certi ragionamenti solo perché comandati dalla paura. Se ne fossimo consapevoli, il corpo di dolore rischierebbe di indebolirsi e perdere il suo potere su di noi. Ma noi pensiamo di essere lui, siamo identificati in lui, e quindi lo proteggiamo, lo giustifichiamo e lo difendiamo a ogni costo, perché convinti di difendere la nostra stessa sopravvivenza (ma invece stiamo difendendo la sua!).

Come facciamo, allora, per sapere se il modo in cui ci sentiamo è frutto della nostra autenticità o se c'è una induzione da parte del corpo di dolore?

Semplice: quando il nostro sentire è libero da interferenze esterne, non sentiamo la necessità di spiegarlo o argomentarlo, nemmeno con chi lo mette in discussione. L'autenticità dona un forte potere di soddisfazione: ci rende paghi per essere ciò che siamo e quindi viene meno la necessità di avere delle conferme esterne.

Una persona che ha emozioni e pensieri attivati dal corpo di dolore (e che quindi non è autentica) sente spesso la necessità di difendere in modo estremo il proprio sentire, al punto da attaccare e diventare aggressiva con chi lo mette in discussione o semplicemente la pensa in modo diverso.


Osservazione e presenza

Concentriamoci ora sulle risorse che possiamo mettere in campo per andare oltre il corpo di dolore. Il primo passo, essenziale, è accorgerci della sua esistenza, accorgerci quando c'è una sua riattivazione e se tendiamo ad assecondarlo.

Dobbiamo uscire dal pensiero automatico che, se abbiamo un dolore emotivo o una frustrazione, allora è naturale farci trascinare da quel sentire. Il dolore va visto, non va rinnegato, ma è diverso se continuiamo a scavarci dentro, il che può alimentare il corpo di dolore.

Una persona in piena riattivazione del corpo di dolore si trasformerà in un vampiro energetico, perché tenderà a nutrirsi dell'energia degli altri, cercando di togliere loro la gioia, la fiducia, la leggerezza, la voglia di stare bene, la rilassatezza dell'empatia. Il corpo di dolore cerca sempre di stimolare frequenze più basse nell'ambiente circostante. Molte volte, quando si litiga, è perché c'è un tira e molla fra i reciproci corpi di dolore, che fanno di tutto per attivare più sofferenza possibile.

Quando sta per accendersi quel vulcano, quando i moti interiori diventano dei maremoti di paura, ansia, cinismo o di qualunque altra frequenza dissonante che cerca di prendere il sopravvento, fermiamoci un attimo. Invece di assecondare meccanicamente e automaticamente tutti quei ribollii interiori che si attivano appena qualcuno ci ferisce o ci delude, accorgiamoci di quanto sta accadendo.

Appena ci accorgiamo di quanto sta accadendo, possiamo metterci nello stato di osservazione: "Ehi, mi sa che qualcosa ha attivato il corpo di dolore... Ho perso il mio centro... Meglio tornare presente e osservare quanto sta accadendo!"

La pratica dell'osservazione ci porta naturalmente allo stato di presenza, grazie al quale restiamo padroni di noi, sicché possiamo scegliere se amplificare o meno la dissonanza in corso.

Ecco, da una parte c'è quella dinamica in noi che vorrebbe tanto reagire e infognarsi nelle leve della sofferenza, nei ricordi, nelle accuse e nel senso di ingiustizia, ma dall'altra ci siamo noi che la osserviamo in presenza. La presenza ci aiuta a restare saldi e a non assecondare la via di minor resistenza, che sarebbe quella del rimuginio, della frustrazione, dell'immersione nel dolore.

Ecco, mentre osserviamo, raccogliamo nuovamente il nostro centro e possiamo formulare pensieri diversi: "Voglio davvero alimentare tutto questo? Voglio davvero farmi agganciare dal corpo di dolore? O posso lasciar andare – e non importa chi ha ragione... –  così da  orientarmi, invece, su qualcosa di diverso, su frequenze più leggere, su emozioni e pensieri per me più funzionali?".


Dire di no e mettere distanza

Tutti o quasi tutti noi conosciamo almeno una di quelle persone che ti cercano per parlarti sempre dei loro problemi – problemi che non cambiano mai – e se provi a dare delle soluzioni, a invitare a un altro modo di pensare e di sentire, quasi diventano più cattive, te la devono far pagare. Sono persone che hanno un problema per ogni soluzione. Più soluzioni proponi, e più problemi ti tirano fuori. 

Ovviamente non parlo di chi entra in un momento di sconforto, che capita a tutti, ma di una configurazione precisa, che si ripete a oltranza, quella dei "lamentosi cronici". Essi sono focalizzati costantemente sui problemi, tanto che possono diventare aggressivi se si prova a tirarli fuori dalla loro logica contorta.

Ci sono poi coloro che non esitano ad aggredirti e a giudicarti, stabilendo senza appello che sei la causa dell'infelicità che provano, perché sono alla perenne ricerca di nemici e traditori, di guerre e di vittime (loro, naturalmente), e quindi vivono con questo filtro negli occhi e nel cuore. E così via, sono tanti e variegati gli esempi di chi agisce in modo disfunzionale. 

In base a quanto detto fino a qui, ora sappiamo che si tratta di individui immersi nelle frequenze oscure del corpo di dolore, per cui lo assecondano in continuazione; anche se giurano che vorrebbero star meglio, nei fatti dimostrano il contrario.

E adesso che abbiamo individuato queste configurazioni – e se siamo onesti fino in fondo possiamo scorgere come alcune di esse si trovino anche al nostro interno –, cosa possiamo fare?

Abbiamo già visto i passi dell'accorgersi e dell'osservare in presenza. Quindi – come prima risposta a ogni dinamica – accorgiamoci, restiamo presenti e osserviamo. Nel far questo, è importante astenersi dal giudizio verso gli altri, e verso noi stessi. La vera osservazione è priva di giudizio; se c'è giudizio, non stiamo veramente o completamente osservando. 

Il non-giudizio non esclude che, tuttavia, possiamo valutare, discernere, scegliere come rispondere alla situazione, mentre restiamo al centro della nostra consapevolezza. Non è giusto subire atteggiamenti disfunzionali, allora, quando è necessario, possiamo stabilire dei confini per proteggerci dalle invasioni dei corpi di dolore altrui.

Gli stessi confini vanno messi anche dentro noi stessi, dicendo no all'avanzata del dolore incondizionato e sforzandoci di alimentare altre frequenze. È un no che in realtà accoglie, perché non giudica, ma sceglie, indirizza, così come si indirizza un bambino quando è confuso. Ci sono no pieni di amore e consapevolezza; facciamo che il nostro "no" sia di questo tipo.

Dire di no a volte significa mettere distanza con chi o cosa vuole invaderci, soprattutto se non siamo dei santi e non è funzionale per noi essere inondati di negatività. Si tratta di mettere quella distanza – che può essere fisica o emotiva – che ci aiuta a recuperare il respiro e la giusta forma del nostro essere.

Quando metto distanza con una persona, cerco sempre di lasciare nel mio cuore una porta aperta per lei, nel caso un giorno volesse cambiare rotta. Non di rado, sogno (nel senso che faccio proprio dei sogni onirici) che questa distanza viene colmata, e allora so che un giorno così sarà, anche se è un giorno che potrebbe essere lontano nel tempo, al di là di molte vite.

Alcuni individui sono drasticamente immersi nella dinamica del dolore, si cibano di questo genere di energia e sono totalmente identificati con il processo, che potremmo sentirci sconfortati nel vedere quanto sono prigionieri di loro stessi. Come spiegato, non c'è niente da giudicare, c'è semmai da rispettare la scelta del loro cammino. Allo stesso tempo, però, noi dobbiamo rispettare noi stessi e quindi prenderci la responsabilità del nostro contesto, curare la nostra crescita.

Proprio perché non siamo dei santi, anche noi abbiamo ombre pronte a riattivarsi, e a volte basta che qualcuno prema il pulsante giusto per farci saltare, basta che il corpo di dolore dell'altro ci attacchi per risvegliare il nostro... Non è meglio, allora, concentrarci nel sostentare quella parte di noi che è nella luce e nella positività, distanziandoci da ciò che è eccessivamente disfunzionale e stimolante in senso distruttivo?

Non è egoismo. Egoismo è quando togliamo agli altri per dare a noi stessi, e non quando impediamo che gli altri ci esauriscano, non quando vogliamo proteggere la nostra fioritura.


Il corpo di gioia

Così come abbiamo parlato di "corpo di dolore", possiamo usare l'espressione "corpo di gioia" per indicare l'insieme di quegli atomi della personalità che vibrano a frequenze superiori e che sono collegati a emozioni e pensieri costruttivi, di ampio respiro.

L'invito è quello di accrescere continuamente il corpo di gioia. Non c'è bisogno di aspettare una situazione specifica o di avere un motivo preciso per innescare pensieri ed emozioni superiori, perché possiamo farlo a ogni istante, portando l'attenzione a ciò che c'è di buono, bello e vero, coltivando la fiducia e la buona volontà. Chiediamoci sempre come possiamo attivare il corpo di gioia, cioè come possiamo tenere alta la nostra energia, il nostro stato d'animo, la nostra mente. 

Il corpo di gioia è anche quella parte di noi che desidera, che ha desideri che vogliono essere incarnati, e che prova piacere man mano che riesce in questo intento. È il piacere della luce che si fa strada nella vita, il piacere dell'anima nell'esprimere i suoi progetti, un piacere che vale la pena assecondare.


Nutrire il corpo di gioia 

Come sempre, ciò che non viene nutrito deperisce, allora ricordiamoci di nutrire il corpo di gioia e di affamare, invece, il corpo di dolore.

Affamare il corpo di dolore significa ignorarlo, non accrescerlo, non dargli energia. Non si ottiene niente cercando di ravanare continuamente nelle ombre, persistendo nei rimuginii, nel passato, nelle beghe. Si può ottenere qualcosa, invece, costruendo il corpo di gioia.

Attenzione: questo non è un invito a rinnegare le ferite, non ho detto questo; né per tagliare i contatti con tutti, non ho detto neanche questo. L'ascolto e l'accettazione sono importanti, verso noi stessi e verso gli altri. Quello che dobbiamo fare è semplicemente agire con equilibrio e, ogni volta che è possibile, scegliere di alimentare il corpo di gioia, scegliere ciò che è giusto e che fa bene davvero.

Possiamo nutrire il corpo di gioia anche attraverso tante piccole azioni quotidiane, che siano di appoggio agli altri e a noi stessi. Per quanto mi riguarda, cerco di immergermi nella bellezza della natura, di un bosco, di un parco appena posso; ascolto musica evocativa, piena di suggestioni; mi occupo di me, della mia giornata; ripeto ogni giorno certe frasi che mi ricordano tutte le opportunità e le potenzialità a cui posso attingere; scelgo di dare forza ai pensieri di gratitudine invece che a quelli di biasimo... e così via. Il mio elenco è in realtà infinito.

A livello profondo siamo tutti fatti di luce, siamo tutti parte della stessa anima. Il problema è nell'identificazione con gli strati della nostra personalità, con la materia esteriore. La parte di noi che può essere ferita, che sente il dolore, paradossalmente è solo l'ego, il vestito che indossiamo. Ciò che veramente siamo, la nostra anima, non può essere intaccata.

Quando ci sintonizziamo con emozioni e pensieri superiori, quando invochiamo la luce dell'amore e della saggezza, ci avviciniamo sempre di più a quel regno che è già dentro di noi, dove ogni mancanza è colmata, ogni dolore trasceso, ogni trauma dissolto, perché mai veramente accaduti.

Camilla


Ho parlato del corpo di dolore e del corpo di gioia anche in questo video:

(se non lo vedi, clicca qui)



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