Stiamo attraversando tempi di grande trasformazione, densi di conflitti ma anche di opportunità. Sono tempi che ci chiedono di rimanere svegli, presenti, non automatici e, soprattutto, di sviluppare empatia e compassione.
Compassione
Per i dizionari, avere compassione significa provare pietà, pena o dispiacere per la condizione degli altri.
Nel Buddismo, la compassione è intesa come forte desiderio di fare del bene e rendere felici tutti gli esseri, sollevandoli dal loro dolore.
Secondo il monaco buddista Thích Nhất Hạnh la compassione è un verbo: non può essere disgiunta dalla giusta azione del conforto. Essa, quindi, assume il significato più amplio della partecipazione alla sofferenza dell’altro e il dargli conforto.
Compassione è sostanzialmente "provare passione insieme" o "soffrire con" (dal greco cum patio): ho consapevolezza delle sofferenze altrui e quindi partecipo attivamente a questo dolore, senza farmi travolgere ma cercando di aiutare.
Empatia
Molto simile, se pur differente, è l'empatia. Empatia è mettersi nei panni dell'altro (dal greco en "dentro" e pathos "sentimento").
La differenza tra compassione ed empatia risiede nell'approccio. La compassione porta a rispondere alla sofferenza altrui, ad agire. L'empatia non dà risposte, né considera il dolore come qualcosa che va per forza risolto; è una connessione con il sentire dell'altro, senza alcun giudizio o desiderio di cambiare la situazione.
L'una non è "migliore" dell'altra. Si tratta di due approcci diversi, che trovano senso in contesti diversi.
Accettare
Sia la compassione sia l'empatia richiedono la capacità di "vedere" l'altro, di riconoscere le sue sofferenze. Questa capacità può essere sviluppata nel momento in cui non giudico, non creo separazioni, e sono capace di accettare.
Solo accettando ciò che vedo, posso accoglierlo, andargli incontro e quindi comprenderlo davvero.
Le tre regole di innocuità
A livello spirituale, la compassione non può essere disgiunta dall'arte di essere innocui, narrata nelle "tre regole di innocuità" descritte nel Trattato di Magia Bianca di A.A. Bailey:
Regola 1.
Entra nel cuore del tuo fratello e vedine la pena. Quindi parla. Le parole pronunciate gli trasmettano la potente forza che gli occorre per sciogliere le sue catene. Ma non scioglierle tu stesso. Tuo è il compito di parlare con comprensione. La forza che egli riceve lo aiuterà nel suo lavoro.
Regola 2. Entra nella mente del tuo fratello e leggine i pensieri, ma solo quando i tuoi sono puri. Quindi pensa. Ma mantieniti distaccato poiché nessuno ha il diritto di influenzare la mente di un fratello. L’unico diritto esistente gli farà dire: “Egli ama. Egli mi sta a fianco. Egli sa. Egli pensa con me e io sono forte per fare ciò che è giusto.” Impara dunque a parlare. Impara dunque a pensare.
Regola 3. Fonditi con l’anima del fratello tuo e conoscilo quale egli è. Questo può essere fatto solo sul piano dell’anima. In qualsiasi altro luogo l’unione accresce l’alimento della sua vita inferiore. Quindi focalizzati sul piano. Così egli vedrà la parte che lui e tu e tutti gli uomini recitano. Così egli entrerà nella vita e conoscerà il lavoro compiuto.
Queste tre regole invitano a rapportarsi con gli altri attraverso la comprensione della loro sofferenza e a interagire con loro a partire dal piano dall'anima, l'unico dal quale è possibile avere una visione reale.
La compassione nasce dunque dal piano dell'anima. Non è un sentimento di pietà ma, piuttosto, di rivelazione, laddove un'anima aiuta altre anime a riconoscersi come tali e quindi a trovare la forza e il coraggio per affrontare le prove del cammino, sapendo che siamo tutti uniti e parte della medesima realtà.
I sentimenti di pietà e commiserazione cui si riferiscono i dizionari quando parlando di compassione accadono nella personalità, che facilmente può sentirsi superiore rispetto a chi si trova in condizioni disagiate. La personalità "concede" benevolenza, e non c'è nulla di male in questo, se non per il fatto che si tratta di un rapporto che avviene su livelli differenti.
Quando è l’anima a esercitare la compassione, il rapporto è sullo stesso livello, non vi è alcun sentimento di superiorità o inferiorità, ma solo la comprensione che ognuno ha il suo cammino, il suo momento, la sua diversità, e che ognuno può aiutare ed essere aiutato. L’anima desidera sempre abbracciare il fratello sul sentiero e sempre riconosce e onora la presenza dell'anima in lui, anche quando è nascosta dalla personalità o dalla materia.
Compassione verso di sé
Spesso dimentichiamo che la prima compassione è quella verso noi stessi.
Quando siamo critici nei nostri riguardi, ci sentiamo sbagliati o non perdoniamo i nostri errori, siamo lontani dall'essere in compartecipazione delle nostre sofferenze e dall'intento di aiutarci; non riusciamo a vederci come anime perfette, come bambini di luce che sono venuti a portare un sogno nel mondo, e per questo rimaniamo distanti dalla nostra essenza.
Avere compassione di sé significa vedersi, sentirsi, essere presenti con ogni emozione, con ogni parte che abita il proprio essere, e averne cura.
Compassione non è buonismo
Provare compassione non significa giustificare o avallare i comportamenti disfunzionali altrui, né mettersi in condizione di subire soprusi e ingiustizie.
Avere consapevolezza delle difficoltà e del dolore degli altri ci mette nella condizione di aiutarli al meglio – anche se si tratta solo di offrire loro un piccolo seme –, ma non deve trasformarsi in quel "buonismo" che spinge a farsi carico dei pesi e delle scelte degli altri, così impedendo loro di evolvere davvero.
Entrare in rapporto
Credo che veniamo su questa Terra, insieme a tutti i problemi e le sfide, per imparare a sviluppare compassione. Compassione verso noi stessi, verso le nostre imperfezioni, e compassione verso gli altri, verso le loro difficoltà, verso il pianeta, verso tutti gli esseri viventi.
Compassione è sentire la difficoltà e il dolore della loro prova, come della nostra, e allo stesso tempo sentire che siamo tutti anime immortali, che la nostra natura profonda è amore. Compassione significa aiutare gli esseri a ritrovare il contatto con questa natura, dunque a sviluppare il potenziale divino di cui sono portatori.
La compassione è alla base di ogni vera relazione, che chiede di "vedere" l'altro e allo stesso tempo di partecipare del suo sentire; è dunque la capacità di entrare in rapporto in modo profondo. Abbiamo visto che la compassione nasce dall'anima e proprio l'anima, di fatto, si estrinseca e si manifesta in ogni forma di rapporto (ed essa stessa a sua volta rappresenta il rapporto tra il cielo e la terra).
In definitiva, la compassione, nel suo senso più ampio, non è provare pietà, ma "vedere" l'altro, vibrare con lui sul piano dell'anima e – mantenendo la consapevolezza ancorata a quel piano – conoscere ed entrare nel suo mondo che, grazie all'interazione con la nostra luce, con il nostro esserci, potrà modificarsi in meglio.
Camilla
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