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Invidia, vedere male



L’invidia
è, tra i sette peccati capitali, quello che meno suscita simpatia. Gola, lussuria, accidia... ma in qualche modo anche ira, superbia e avarizia sono tollerati o giustificati dalla psiche collettiva, mentre l'invidia è percepita innegabilmente come sgradevole e disfunzionale, per i suoi effetti nefasti.

L’invidia ha fondamentalmente due direzioni: c'è l’invidia che subiamo dagli altri e quella che proviamo noi stessi, in prima persona. Non sempre la distinzione è netta ed entrambi i casi, come vedremo, ci offrono lo spunto per importanti riflessioni.

Etimologia

La parola "invidia" deriva dal latino invidere (in-videre), "vedere sopra", "guardare male". Indica non cosa si guarda, ma il modo con cui lo si fa: di traverso. Lo sguardo dell'invidioso è sottrattivo: guarda per togliere.

In un suo video, Sibaldi dice che "invidia" significa "guardare con gli occhi di un altro", è quindi il non fidarsi del proprio sguardo, del proprio sentire. Ci si basa sugli altri invece che su se stessi.

Ecco che l’invidia non è semplicemente soffrire perché qualcuno ha qualcosa che noi non abbiamo, ma è un vero e proprio modo di vedere male ciò che stiamo osservando, poiché basiamo la nostra valutazione sull’esterno, su quello che appare o che desidera il mondo degli "altri".

La Divina Commedia

Dante, nella sua Commedia, colloca gli invidiosi nel Purgatorio (nella seconda cornice). Gli invidiosi indossano un mantello ruvido e pungente, siedono l'uno contro l'altro e hanno gli occhi chiusi perché cuciti con fil di ferro.

Perché gli occhi sono cuciti? È perché devono imparare a guardare in modo diverso e nella giusta direzione, quella che scopri quando non guardi più fuori, ossia la direzione interna.

Quando guardi dentro di te, la tua valutazione si basa su ciò che tu vuoi o meglio la tua anima vuole veramente. L’invidioso non conosce la sua anima, non fa partire il suo sguardo da ciò che lui "è", ma dal paragone con il mondo esterno, perché il mondo esterno è il suo punto di riferimento. 

La volpe e l'uva

Una caratteristica dell'invidia è sminuire ciò che non si può avere, come accade nella famosa favola di Esopo "la volpe e l'uva". Brevemente, la favola descrive una volpe che è attirata da un succoso grappolo d'uva che pende, in alto, in un vigneto. Non riuscendo a raggiungerlo, nonostante numerosi tentativi e salti, alla fine l'animale esclama: “Tanto è acerba!”. 

La svalutazione e il parlar male è anche l'arma usata sui social dalle persone frustrate, che lasciano commenti di odio nei riguardi di chi, invece, è capace di manifestarsi attraverso una luce che loro non hanno.

Autostima

Nel profondo, l’invidioso non ha autostima. Laddove per autostima intendo la stima del sé più grande, la confidenza nel proprio Io superiore, nella propria anima, dalla quale far derivare ogni spinta all'agire.

Se ho autostima, se non sono invidioso ma a contatto con la mia anima, posso non avere le stesse cose che ha un'altra persona, ma so che ho esattamente ciò che mi serve per il mio cammino.

Tommaso D'Aquino

Secondo Tommaso d’Aquino, l’invidia "è la tristezza per il bene altrui, concepito come impedimento della propria eccellenza".

In questa definizione c’è un’altra chiave dell’invidia, che quindi non è solo il rattristarsi perché ci manca quello che altri hanno, ma è addirittura credere che gli altri abbiano in modo immeritato e che ciò rechi a noi danno e ingiustizia.

Devo dire che, in più occasioni, sentendo parlare amici e conoscenti, ho colto questa insofferenza fra le righe, questo lamento verso il successo altrui descritto come immeritato e ingiusto, laddove non si spiegavano perché, invece, a loro non venissero dati gli stessi riconoscimenti.

Attenzione, non mi sto riferendo a delle semplici valutazioni, per cui si può comunque ragionare sul successo più o meno meritato di qualcuno, ma a una vera e propria insofferenza, mista a rabbia e frustrazione, che l'invidioso prova nel constatare che altri ottengono ciò che invece vorrebbe ottenere lui, ritenendo ciò una sorta di abuso o ingiustizia nei suoi riguardi.

All'invidioso non viene minimamente in mente che la sua situazione di vita possa dipendere da quello che lui è o fa, dal suo modo di "vibrare" o dal suo particolare cammino. L'origine del suo insuccesso non è mai percepita in se stesso, ma nel fatto che altri ottengono "ingiustamente" rispetto a lui. Il bene altrui, la ricchezza morale o materiale degli altri, diventano l'impedimento al suo benessere o comunque il motivo del suo scontento. 

Lo sguardo dell'invidio è ancora una volta orientato fuori, in superficie, e non sa cogliere gli innumerevoli intrecci che portano ciascuno di noi sul proprio particolare percorso. L’invidia crede di vedere ma è cieca.

Difendersi dagli invidiosi

L’invidioso non solo parla, ma anche agisce, per minare la felicità altrui. Il suo obiettivo è che l’altro soffra e perda il sorriso, il potere, la stabilità; vorrebbe sottrargli i suoi raggiungimenti, materiali o emotivi.

Per questi motivi, è sempre bene stare lontano dagli invidiosi, laddove possibile. E se siamo costretti a frequentarli, allora cerchiamo di rivelare loro il meno possibile su di noi e sui nostri raggiungimenti.

Riconosci l'invidioso anche dalle sue provocazioni: prima o poi ti spara la sua bella frase che contiene una critica, un qualcosa che ti mette in distonia o ti frena energicamente. Ti fa capire, e te lo sottolinea (come la volpa con l’uva), che tanto ciò che tu sei, ciò che rappresenti, è solo qualcosa di "acerbo". 

Insomma, è un po’ "vampirello" e, come con tutti i vampiri, è bene mettere distanza e non offrirgli la giugulare, cioè abbandonare ogni tentativo di avere l’ultima parola o spiegare le cose. In altre parole: va ignorato e lasciato cuocere nel suo brodo.

Ingiustizia

Se, poi, ci sembra ingiusto che l’invidioso se ne vada tranquillamente in giro a far danno, ricordiamoci che la sua non è comunque una vita bellissima. Il suo sguardo non ha mai una luce viva, il suo animo non è rilassato, ma sempre pronto a sputar una qualche sentenza o critica. Ecco, la gioia non è proprio ciò che prova a ogni istante. 

Certo, come tutti coloro che non hanno gioia, in qualche modo cercano di portarla via anche gli altri, quindi ritorno sulla raccomandazione: stai lontano dall'invidioso e pratica il "no contact" a oltranza.

Lavoro alchemico

Quando non riusciamo ad arginare gli invidiosi, quando ritornano prepotenti sul nostro cammino, possiamo chiederci se c'è una lezione che dobbiamo apprendere. Per esempio, potremmo aver bisogno di imparare a essere meno accondiscendi, a dire di no, a mettere confini a ciò che ci invade e ci fa male. Il punto è: quale qualità siamo chiamati a sviluppare in questa situazione?

Se poi ci piace fare un lavoro alchemico ancora più profondo, possiamo “usare” gli invidiosi che incontriamo per conoscerci più nel segreto ed esplorare quelle parti di noi che sono in ombra. L'ombra attira sempre la nostra attenzione facendoci incontrare "all'esterno" ciò che ci disturba e ci crea un problema. Ovviamente non è una dinamica sempre così assoluta e precisa, ma possiamo dire tranquillamente che, in molte occasioni di fastidio e frustrazione, spesso c'è anche lo zampino dell'ombra.

Allora spostiamo l'attenzione dall'invidioso a noi stessi e chiediamoci se ci sono parti di noi che dobbiamo integrare, parti di noi che hanno in qualche modo a che fare con l'energia dell'invidia.

Per esempio, in qualche modo potremmo non essere coscienti di come basiamo il nostro discernimento non sul nostro unico sentire, ma sul mondo esterno, su ciò che altri dicono o fanno. Potremmo essere in qualche modo nel paragone con gli altri, con i loro possedimenti e raggiungimenti, e sentirci per questo in difetto, arrabbiati per non avere ciò che in realtà desideriamo.

Come abbiamo detto, l’invidioso non sa guardare alle cose con i propri occhi (che sono gli occhi dell’anima, del proprio esserci in consapevolezza) ma usa gli occhi altrui, è proiettato fuori e non dentro. Per questo, la domanda da fare a noi stessi diventa: quanto siamo realmente confidenti e a contatto con la nostra anima e con l'unicità del nostro percorso, e quanto, invece, ci confrontiamo con gli altri, facendo derivare il nostro valore dagli oggetti e dalle situazioni esterne?

E se siamo noi gli invidiosi?

Se riconosciamo e ammettiamo di essere invidiosi, è già un buon segno del fatto che probabilmente abbiamo capito che non è il modo migliore di vivere e vogliamo liberarci di questa modalità.

La maggior parte degli invidiosi non si mette in discussione... e come potrebbe? Per mettersi in discussione bisogna in qualche modo riconoscersi, sentirsi, aprirsi a se stessi, e, come sappiamo, è proprio ciò che l'invidioso non sa fare.

Sintomo di disamore

Abbiamo detto che l'invidia è il sintomo di una mancanza di autostima, intesa come la confidenza nel proprio Sé più grande; manca cioè la fiducia verso la propria anima, manca il rapporto con l’aspetto amore.

La persona invidiosa non si ama, non si riconosce, non si vede. Non si fida della sua unicità, della sua missione interna che, anzi, non immagina neanche di avere. Per questo è orientata al confronto con gli altri, perché il confronto è per lei l'unica possibilità di trovare un senso nella sua esistenza. 

A un livello profondo, l'invidioso ha bisogno di fare un lavoro con il perdono – chi non ne ha bisogno, in realtà? Però, per lui, si tratta di un tassello particolare –. Ciò che deve perdonare è il suo complesso di inferiorità, molto nascosto, per il quale crede di non essere o di non avere mai abbastanza.

Eccoci, allora, al primo antidoto: impara ad amarti, a darti ciò che ti manca, a prenderti cura di te, a nutrirti di ciò che davvero ti fa bene. E scegli di farlo, allenati a farlo.

Responsabilità

L’invidioso pensa che il mondo esterno non abbia nulla a che fare con il suo mondo interno e, proprio per questo, non si ritiene responsabile per ciò che gli manca.

Ho scritto "responsabile" e non "colpevole". L'individuo responsabile, in senso spirituale, sa che la sua esistenza è in qualche modo connessa a ciò che lui è ed alla missione che è venuto a perseguire, quindi non si disperde nel fare inutili confronti con gli altri, ma cerca di cambiare le cose dentro di sé, così che possano cambiare anche fuori.

L’invidioso non avverte alcuna responsabilità; se la avvertisse, non sarebbe invidioso poiché saprebbe che la sua realtà dipende da lui, quindi c’è poco da invidiare... 

Per esempio, se mi ammalo, cosa faccio? Potrei comincio a invidiare chi sta in salute, lamentarmi che è una ingiustizia, continuare a rodermi il fegato... Questo fa l’invidioso.

Chi si prende la responsabilità non fa confronti sottrattivi con gli altri (nel senso di "vediamo chi è il migliore fra di noi"), ma si sposta sul piano della responsabilità. Nell'esempio citato, mi chiedo: quale parte del mio essere può aver concorso allo sviluppo della malattia? C’è un messaggio che posso raccogliere da questa esperienza, che è comunque "mia"?

Allora ecco il secondo antidoto: prenditi la responsabilità della tua vita, sia per ciò che hai creato consciamente, sia per ciò che hai creato inconsciamente.

Ripeto, non si tratta di prendersi la colpa, ma di accettare che abbiamo un potere co-creativo nelle vicende del mondo e che c’è sempre un spazio di manovra all’interno del quale agirlo. E, sai una cosa… più ti prendi la responsabilità e più il tuo potere cresce!

Frustrazione

L’individuo invidioso è spesso frustrato (a questo punto l’avevamo capito). Egli è tutto tranne che felice, realizzato, appagato.

Chiediti se la tua invidia è davvero voglia di levare le cose agli altri, o magari di avere anche tu quello che hanno loro… perché questo è già diverso, questo può davvero trasformarsi in una spinta per migliorare te stesso e cercare di sviluppare quelle risorse che ti aiuteranno a ottenere ciò che desideri.

Riprendendo l’esempio fatto prima, se ti ammali, puoi guardare a coloro che sono guariti, o che hanno affrontato la tua stessa situazione in modo costruttivo, come a dei mentori che ti ispirano nel trovare la tua via per il benessere.

L’antidoto, la terza risorsa, qui è: trasformare l’invidia in ispirazione.

Guardo all’altro che ha (apparentemente) più di me, ma solo perché lo uso come stimolo per diventare la mia migliore versione, ma il punto di riferimento rimane in me e nella mia unicità.

Argomenti conclusivi

Per l’invidioso, è davvero importante che rivolga il suo sguardo a ciò che la sua anima desidera veramente, che scopra la sua unicità e trovi il modo di esprimerla nel mondo.

Ogni volta che sente quella punta di invidia, si chieda: come posso rendere la mia vita gloriosa e soddisfacente per il mio cuore?

Perde ogni senso il confrontarsi con gli altri, far decidere alla comparazione cosa è per noi abbondanza e benessere. Magari la nostra anima esplode di gioia e vitalità se andiamo a fare i sarti in un paese perso fra i monti ma, invece, poiché invidiamo gli altri – quindi guardiamo con gli occhi degli altri, dell'esterno –, crediamo che a mancarci sia l'essere dei top manager che vivono in un attico sulla Fifth Avenue a New York.

È altresì importante riconoscere come i percorsi dell’anima si svolgono attraverso innumerevoli intrecci, che si dipanano nello spazio e nel tempo di numerose vite. Noi non possiamo vedere i dettagli delle vite di ciascuno... e, anche all’interno di una stessa vita, non conosciamo quello che la persona ha passato in altri ambiti, magari più nascosti. Possiamo confidare, però, che a ognuno viene dato ciò che merita e a tempo debito. Se davvero vedessimo bene e in modo completo, l’invidia verrebbe meno da sé. 

Una pratica utile a contenere l'invidia è la gratitudine. L’invidioso dà troppo per scontato ciò che ha – oggetti, qualità, situazioni... – che invece altri potrebbero non avere. E allora, intanto, impari ad apprezzare quel che possiede e che l’esistenza gli ha donato.

In conclusione, penso che questi messaggi, queste consapevolezze che l’invidia ci chiede di sviluppare, siano riflessioni che fanno bene a tutti... invidiosi e non.

Camilla



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