Accade così, improvvisa. Quando non accetti più di imprigionare dentro di te il flusso della vita, e lasci che quel che vuole essere sia, il buio diventa fuoco, ed emerge la rabbia.
Come può avere tutta questa energia, la rabbia? Com'è possibile che prima io non avessi visione, non avessi forza... e ora invece mi travolge la linfa del mondo, un mondo che voglio - che lei vuole - distruggere? Era dunque distruttività, quella debolezza... distruttività mascherata di impotenza? E se provo rabbia per un amore che non c'è più (ogni volta travestito di volti diversi), com'è possibile che accada proprio così... che ci sia impeto e gioco di potere, in un territorio che dovrebbe solo nutrirsi di accettazione e accoglienza?
Ecco, lo sto facendo di nuovo: metto giudizi, metto etichette a quello che penso debba essere giusto, a quello che penso debba essere il territorio dell'amore.
Ma sono io a fare le domande? No, così non vado da nessuna parte. Così continuo a non esserci.
E va bene, cara e spaventevole rabbia. Sono qui. Adesso. Ti ascolto.
Distruggimi con la tua ira, maciullami col tuo peso, scaraventami con il tuo nero dolore contro il muro del nulla. Cosa mai ancora posso fare per evitarti? In quale altro luogo rifugiarmi? ... tu mi hai sempre scovato. Non ho più voglia di essere inseguita da te. Ti ascolto, ti accolgo, lascio che tu faccia di me quello che vuoi... ma con me presente, con io che scelgo di lasciarti essere, qui e ora.
... che fai? Non urli più? Non mi abbatti più con la tempesta del tuo impeto? Non mi induci più a credere che tu ci sei adesso perché qualcos'altro è stato ieri?
Ascoltando la rabbia, scopro parti di me che avevo ignorato... che ignoro, che ho messo in cantina. Pur di fuggire da lei, ho recitato mille ruoli, e non ho fatto altro che alienarmi da me stessa. Ho delegato la mia felicità al "fuori da me", anche quando pensavo che non era così. Ecco perché la rabbia è potuta crescere nella mia anima: perché io non c'ero, guardavo altrove. E questo non è più ammissibile, non si può fare.
Le situazioni e le persone che ci feriscono ci danno l'occasione per toccare il vuoto lasciato dalla nostra assenza. E ci aiutano a capire che non possiamo essere quello che non siamo... Quando viviamo esterni a noi stessi, lasciamo la porta aperta a oscure invasioni, e non si può aspettare che qualcosa - sempre dal di fuori - venga a salvarci, a riportarci dentro di noi.
Com'è possibile che questa "sindrome dell'essere salvati" sia così radicata in ogni aspetto della nostra coscienza? Ci hanno davvero convinto che non siamo capaci né abili di costruire e di agire creativamente? Siamo davvero schiavi fino a questo punto? Abbiamo davvero così poca fiducia nella spinta della vita, e nel senso del nostro cammino?
D'un tratto gli eventi che scatenano la mia rabbia, sembrano solo riflessi opachi e molteplici di uno specchio andato in frantumi. Quello specchio sono io... Quello specchio è il mondo. Come faccio a ricostruirlo? Qual è il modo giusto di fare e di essere? Qual è la via per tornare a casa? Ha senso andare verso qualcosa? E se io fossi sempre stata ferma, in un qualche punto, e fosse stato invece solo lo spazio a muoversi attorno a me, creando l'illusione del tempo?
"E abbi il coraggio di seguirla" aggiunge il secondo guerriero.
E io sorrido.
Come può avere tutta questa energia, la rabbia? Com'è possibile che prima io non avessi visione, non avessi forza... e ora invece mi travolge la linfa del mondo, un mondo che voglio - che lei vuole - distruggere? Era dunque distruttività, quella debolezza... distruttività mascherata di impotenza? E se provo rabbia per un amore che non c'è più (ogni volta travestito di volti diversi), com'è possibile che accada proprio così... che ci sia impeto e gioco di potere, in un territorio che dovrebbe solo nutrirsi di accettazione e accoglienza?
Ecco, lo sto facendo di nuovo: metto giudizi, metto etichette a quello che penso debba essere giusto, a quello che penso debba essere il territorio dell'amore.
Ma sono io a fare le domande? No, così non vado da nessuna parte. Così continuo a non esserci.
E va bene, cara e spaventevole rabbia. Sono qui. Adesso. Ti ascolto.
Distruggimi con la tua ira, maciullami col tuo peso, scaraventami con il tuo nero dolore contro il muro del nulla. Cosa mai ancora posso fare per evitarti? In quale altro luogo rifugiarmi? ... tu mi hai sempre scovato. Non ho più voglia di essere inseguita da te. Ti ascolto, ti accolgo, lascio che tu faccia di me quello che vuoi... ma con me presente, con io che scelgo di lasciarti essere, qui e ora.
... che fai? Non urli più? Non mi abbatti più con la tempesta del tuo impeto? Non mi induci più a credere che tu ci sei adesso perché qualcos'altro è stato ieri?
Ascoltando la rabbia, scopro parti di me che avevo ignorato... che ignoro, che ho messo in cantina. Pur di fuggire da lei, ho recitato mille ruoli, e non ho fatto altro che alienarmi da me stessa. Ho delegato la mia felicità al "fuori da me", anche quando pensavo che non era così. Ecco perché la rabbia è potuta crescere nella mia anima: perché io non c'ero, guardavo altrove. E questo non è più ammissibile, non si può fare.
Le situazioni e le persone che ci feriscono ci danno l'occasione per toccare il vuoto lasciato dalla nostra assenza. E ci aiutano a capire che non possiamo essere quello che non siamo... Quando viviamo esterni a noi stessi, lasciamo la porta aperta a oscure invasioni, e non si può aspettare che qualcosa - sempre dal di fuori - venga a salvarci, a riportarci dentro di noi.
Com'è possibile che questa "sindrome dell'essere salvati" sia così radicata in ogni aspetto della nostra coscienza? Ci hanno davvero convinto che non siamo capaci né abili di costruire e di agire creativamente? Siamo davvero schiavi fino a questo punto? Abbiamo davvero così poca fiducia nella spinta della vita, e nel senso del nostro cammino?
D'un tratto gli eventi che scatenano la mia rabbia, sembrano solo riflessi opachi e molteplici di uno specchio andato in frantumi. Quello specchio sono io... Quello specchio è il mondo. Come faccio a ricostruirlo? Qual è il modo giusto di fare e di essere? Qual è la via per tornare a casa? Ha senso andare verso qualcosa? E se io fossi sempre stata ferma, in un qualche punto, e fosse stato invece solo lo spazio a muoversi attorno a me, creando l'illusione del tempo?
"Non voglio più regole" dice il bambino ferito.
"Le regole ti proteggono" risponde il genitore.
"Le regole proteggono l'apparenza" aggiunge il guerriero.
"Non è questione di regole, è questione di esserci" suggerisce il Cuore. "E' questione di ascolto. Scegli di agire in base al momento presente e ascolta, di volta in volta, la risposta dentro di te. Fai spazio alla risposta".
"E abbi il coraggio di seguirla" aggiunge il secondo guerriero.
E io sorrido.
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