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L'affamato

Non si può volare leggeri se non si abbandonano le valige pesanti che spingono verso il basso. Una di queste valige, di cui è bene accorgersi, si chiama "essere affamati". Desidero portare l'attenzione su questo aspetto perché esso è molto diffuso.

Chi ha messo da parte il proprio Io per troppo tempo, non solo ha dimenticato il sapore della cura, ma ha imparato a convivere con la fame di chi non ha mai assaporato la propria anima. Ha imparato a convivere con il disamore di sé, e anche se così facendo sopravvive, non potrà mai sentirsi appagato.

C'è chi si ritrova perennemente senza energia o chi, invece, ne manifesta fin troppa ma la usa per criticare gli altri e avvelenare i loro sogni. Sono sintomi di squilibrio, dell'incapacità di nutrirsi, per cui si continua a mangiare ma senza sentirsi veramente sazi. Sono due facce della stessa medaglia, quella dell'affamato.

L'affamato è colui che non ha mai coltivato la propria luce, la propria vitalità, ciò che davvero appaga il suo Io. È colui che ha messo da parte le proprie sensazioni e si è affidato, per le sue scelte, a ragionamenti, aspettative e pressioni esterne.

L'affamato ha messo da parte ciò che sente essere giusto e per questo è molto pericoloso, per se stesso e per gli altri, poiché non conosce etica ma solo "programmi affamanti". Affama se stesso imprigionandosi in una vita di privazioni, e/o affama gli altri pretendendo che siano come vuole la sua fame e non come vuole la loro anima.

L'affamato spesso finisce negli eccessi, è privo di equilibrio per definizione. Appena gli viene offerta la possibilità di "assaggiare" qualcosa, infatti, lui si getta a divorarlo, anche solo per il gusto di farlo, non accorgendosi magari che si tratta di qualcosa di velenoso. Ha patito così a lungo la fame, che non lascia più andare l'oggetto del suo masticare.

L'affamato ha perso il suo istinto, la capacità di sentire odori e sapori, di sapere se e quanto mangiare... A volte si tratta di vero e proprio cibo, altre volte di abitudini o relazioni intossicanti... Qualunque sia il "campo", l'affamato non si accontenterò di assaggiare, ma finirà nell'eccesso, sviluppando pericolose dipendenze e stili di vita sempre più frustranti.

Cosa fare? Innanzitutto se cadiamo nell'eccesso o nel disequilibrio con un cibo, una relazione o una abitudine, bisogna guardare in faccia la realtà: quella modalità di cibarsi non è giusta per noi.
L'anima sa che è un pasto eccessivo o di cui non abbiamo bisogno, sa che, se "mangiamo" in questo modo, non saremo mai sazi, per questo non ci appoggia, per questo non ci dona la sua gioia.

Di cosa ha veramente bisogno l'anima? Qual è il nutrimento dell'Io?

Trovare la risposta – o meglio le tante risposte – a questa domanda significa trovare la forza di sopportare la fame invece di fiondarci spasmodicamente sulle prime polpette avvelenate che ci lanciano, e darci il tempo e lo spazio di trovare ciò che ci nutre davvero.

Occorre rieducarsi a mangiare... a percepire con i propri istinti... al di là di idee, ideologie, automatismi e "bisogni". Non possiamo pretendere di sentirci appagati attraverso un cibo che è scelto per noi da altri. Dobbiamo scoprire da soli ciò di cui abbiamo bisogno, esplorarlo, e allenarci a farlo senza giudizio e aspettative. A ogni prova, a ogni tentativo, diverremo più abili... e di fronte alle cadute (inevitabili, perché un percorso non è mai fatto di linee rette ma di cicli), abbracciamo la frustrazione e diciamoci: "Va bene, da questo imparo, ora mi regolo e prendo la misura per il prossimo passo, il prossimo giro".

Manteniamoci presenti e ascoltiamo il dialogo che accade al nostro interno, le forze che lo tirano da una parte e dall'altra. Ricordiamoci che essere affamati non ci spingerà automaticamente a nutrirci del cibo giusto per noi, per cui restiamo nell'intento di ascoltare la vera fame.

Impariamo a fermarci quando è opportuno, a prenderci il tempo del riposo, della pausa, per ricominciare, poco alla volta. Non esistono fallimenti, esistono solo momenti da cui ripartire.

Impariamo a gioire del percorso e di tutti i suoi passi: l'obiettivo, qualunque esso sia, serve a darci una direzione, ma la gioia e la cura crescono nell'adesso: esserci è adesso, nutrirci con autenticità è adesso, dire "basta, è troppo" è adesso, pensare "ora mi occupo di me" è adesso...

Per l'affamato è essenziale imparare a misurarsi con la propria fame cronica, a riconoscerla, ad accoglierla, ad avvicinarla con amore per chiedersi qual è la vera necessità del suo corpo-anima.

All'inizio non è semplice, le cattive abitudini, le credenze devianti e le paure hanno una loro forza, ma se egli persiste nell'essere presente a se stesso e nel fare i suoi piccoli passi ogni giorno, riuscirà a disintossicarsi da quelle cose che ingannano i sensi ma in realtà saziano assai poco, e a sviluppare una nuova e più sana relazione con la fame e con il piacere di nutrirsi.

Se in un modo o nell'altro siete affamati, prendete la decisione di alimentare prima di tutto ciò che appaga l'anima.

Cominciate dal contatto con voi stessi: passate del tempo da soli, in compagnia di ciò che siete, magari facendo una visita a quel parco, una gita a quel museo, o dipingendo quella porta di cui vorreste cambiare il colore. Esplorate chi siete, esplorate come vi sentite quando fate le cose.

Coltivate i legami con gli alleati, come con quella persona che vi vuole bene e non vi asseconda quando vi lamentate... Siate aperti a nuovi lavori, nuove strade, nuovi spazi... Lasciate andare ciò che più non serve o che inquina il cuore, che si tratta di oggetti, idee o situazioni.

C'è chi comincia da un seme, da un'idea, da un momento di silenzio, da un libro. Ognuno ha la misura di quanto sia profonda la propria fame e la propria energia, ognuno parte da dove può per imparare a nutrirsi. Quel che conta è iniziare e poi continuare, ogni giorno, con compassione e infinito amore, sempre e comunque, qualunque cosa accada.




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