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Cos'è che non ho capito?

Se la malattia e gli ostacoli portano un insegnamento, cos'è che non ho capito, visto che il problema non passa?

Troppe volte ho sentito pronunciare questa frase da amici e conoscenti, spesso impegnati su un percorso spirituale e di guarigione, i quali si struggono per trovare una risposta.

Come sappiamo, la risposta arriva solo se la domanda è fatta in modo corretto. Se non si ottiene risposta ai propri interrogativi, se le domande che ci si fa sono sempre le stesse, ma nulla cambia, allora è il caso di riformulare i propri quesiti.

La domanda con cui ho aperto questo post (Cos'è che non ho ancora capito?) nasce da un assetto mentale particolare: esso dà per scontato che, per guarire, occorra "capire" il significato della malattia o più in generale capire il messaggio degli ostacoli.

Ma siamo sicuri che funzioni proprio così? Siamo sicuri che il punto sia "capire"?

L'inghippo è proprio qui, è nel credere che "capire" equivalga ad avere quelle "risposte" che ci faranno superare i nostri problemi.

Non è così. Il capire è "solo" un ponte per passare all'azione. È l'azione, invece, che ci farà andare oltre. Ma se all'azione non si passa, se non si traduce in fatti concreti la propria energia mentale, si rimarrà fermi dove si è.

C'è chi non si preoccupa di comprendere tutto il "quadro", ma ne ha solo una breve intuizione, quel che basta per mettersi in moto, per portare nella propria vita ciò che manca o togliere ciò che è di intoppo, e così facendo avanza velocemente.

Quando passi all'azione, quando metti in pratica, integri nuova coscienza nel tuo essere, insomma in parole povere cresci, vai avanti, attivi nuovi sentieri. Non lo fai con il capire, lo fai con il fare.

Puoi conoscere mentalmente i principi più strabilianti della salute e della natura umana ma, se non li "vivi", non serve a niente, non ci sarà alcun cambiamento.

Il problema è che molti pensano che "capire" una cosa equivalga a "farla". Ma in realtà non è così. Finché avrò solo "capito", il mio campo di coscienza resterà immutato. Se voglio veramente introdurre in me nuove qualità/informazioni, se voglio trasformarmi, devo "agire".

Magari so che la mia malattia a livello simbolico è connessa alla rabbia trattenuta, ma se poi non vivo il principio della rabbia, se non la lascio "libera" di essere e di toccarmi, quel sapere non mi servirà a niente... Anzi, c'è il rischio che diventi impedimento alla guarigione, perché a quel punto mi dirò che "lo so", e mi fermerò lì.

Se sono una donna e ho problemi con il ciclo mestruale, studiando la simbologia del malessere, scoprirò di avere una ferita nel femminile. Ma finché in quel femminile ferito io non entro, finché non mi immergo nei suoi aspetti legati al nutrire, alla creazione/creatività, ma anche al fluire con fiducia e sicurezza attraverso gli ostacoli così come fa l'acqua di un torrente con i massi, tutto resterà per me invariato.

Ricapitolando, capire è un passo prezioso e fondamentale, perché suggerisce la direzione da percorrere, il principio da integrare nella propria vita. Ma poi occorre alzare i piedi e percorrere la strada, perché solo camminandoci dentro potrò attivare quei cambiamenti a cui la vita mi sta chiamando.

Non chiederti: Cosa non ho capito? 

Chiediti invece...

Cosa vuole portare nella mia vita l'anima e cosa vuole lasciar andare?
Cosa non sto ancora facendo che sarebbe opportuno facessi?
Qual è il mio prossimo, piccolo passo?

Formulata in questo modo, la domanda assume un altro senso, perché invece di sospingerti a sostare nella mente, ti invita ad andare più in là, a farti esperienza.

Basta un'intuizione, un accenno, una lieve risposta dentro di te. Poi dimentica la domanda e passa all'azione. Fai quella passeggiata mattutina. Metti a posto quella stanza. Studia quella lingua. Iscriviti a quel corso. Sistema quella dieta... E non preoccuparti di ciò che verrò dopo...

Tanto, quello che scoprirai "facendo" sarà sempre più grande di qualunque comprensione "pensata". Nel fare, giungeranno altre vie. Nel pensarci, invece, resterai dove sei.

Certo, esiste anche il "fare infruttuoso", quel fare che nasce da chi non pone alcuna domanda al proprio "io", da chi guarda solo fuori e mai dentro, da chi parte in quarta senza accorgersi; si tratta del caso opposto, non meno deleterio.

È bene invece mantenersi al centro fra i due opposti, usare le domande appropriate per captare la direzione, e quindi, appena la si intuisce, mettersi in moto (e prepararsi a nuove liberazioni).

Il tutto non è molto diverso dal comportamento da adottarsi con una lavatrice rotta che perde acqua. Certamente non restiamo a guardarla mentre casa si allaga, per interrogarci sui dettagli della perdita o per immaginare cosa potrebbe dirci il tecnico, né dall'altra cominciamo a smontarla a caso senza averne le competenze o senza prima aver individuato da dove viene la perdita. In genere constatiamo velocemente la situazione e poi passiamo all'azione, cioè chiamiamo il tecnico di fiducia.

La buona notizia è che nella vita il "tecnico di fiducia" siamo noi, e quindi non ci chiederà il costo della riparazione. Quella meno buona è che il suo campo di azione non è sempre così definito a un ruolo preciso... però, usando le domande opportune e passando prontamente all'azione, disporrà sempre degli strumenti di lavoro più adatti per le necessità del momento.

Come al solito non ho detto nulla di nuovo, anzi pure assai scontato. Ma si sa: ciò che è scontato spesso è ciò che si dimentica più facilmente.





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