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Buttarsi consapevolmente dentro l'abisso

Ogni tanto qualche "sapientone" mi fa notare che "la mente è un principio superiore" rispetto alle emozioni. E me lo fa notare soprattutto se gli racconto dei lavori emotivi che sto facendo per contattare la rabbia e lasciarla essere "allegramente" così come vuole essere, il che suscita evidentemente un certo grado di preoccupazione, per non dire disapprovazione.

Le frasi più gettonate che mi sento dire? Queste: "Le persone spirituali non si lasciano governare dalla rabbia", "Così alimenti l'energia della rabbia nell'ambiente", "Bisogna sacrificare i propri impulsi per costruire l'armonia attorno a sé, sennò la personalità prende il sopravvento sull'anima" e così via. E tutto questo solo per aver manifestato, a gran fatica, un po' di emozioni rabbiose.

Parliamoci chiaro: la repressione delle emozioni è dietro l'angolo, e non c'è niente di più dannoso per la salute e soprattutto di più efficace per farle esplodere!
Allora come la mettiamo con la faccenda della mente che è superiore rispetto alle emozioni?
Devo dire che è proprio così: evolutivamente parlando, il corpo mentale è "superiore" (nel senso che sta "sopra", non che "vale di più") rispetto al corpo emotivo.


Un principio superiore è un principio in grado di governare il principio inferiore, poiché l'energia (permettetemi il termine) scorre naturalmente "dall'alto" verso il "basso".
La mente è su un piano superiore rispetto alle emozioni, dunque, ma questo concetto non di rado è frainteso e spinge i vari "guru" e loro "seguaci" ad accentuare l'opera di giudizio e repressione nei confronti delle emozioni. 

Così, se da un lato abbiamo la schiera di coloro che dicono di "seguire il cuore e non la mente" (ignorando che il cuore è la mente superiore/intuitiva, che non ha nulla a che fare con l'impulso e l'emotività), dall'altra abbiamo coloro che osannano la via yogica del "controllo mentale".
Il risultato di quest'ultima tendenza è che si cerca di rapportarsi e di governare la propria emotività attraverso il linguaggio e la realtà del corpo mentale... (E poi ci si stupisce se a un certo punto vien voglia di ammazzare qualcuno che ci ha tagliato la strada in auto, oppure se dopo vent'anni si è ancora imbrigliati nelle stesse trappole emotive di una volta!)

Usare i mezzi della mente per rapportarsi con il corpo emotivo, ossia "capire" un'emozione, è il modo migliore per non contattarla, ma anzi per violentarla, snaturarla, mandarla ancor più profondamente nell'ombra. Chi lo dice? Lo dice il cambiamento a cui diamo vita quando l'emozione non è più repressa né "capita".
Troppe volte, inoltre, si pensa di contattare l'emozione, ma ancora una volta la si sta osservando attraverso il filtro della mente, negandole di fatto la possibilità di "essere".


Nell'emozione bisogna invece entrarci, farci l'amore, perdersi. Bisogna diventare un po' come lei... ma senza farsi trascinare a fondo.
Come si fa?

Con la presenza.

Presenza significa che non c'è volontà di capire. Non c'è giudizio, non c'è ricerca di cause antiche o future. Solo presenza.
"Mi sento triste o incavolato nero" ... e mi fermo qui, non vado a cercare per forza un "perché". Mi fermo qui e sto con la tristezza o l'irritazione, lascio che pervada il mio corpo, il mio respiro, la mia attenzione. Non cerco di sopprimerla spostando l'attenzione su altro, né di sfogarla con altre persone.
Mi tuffo dentro la marea che avanza, andando più in fondo che posso, a braccia aperte, con il solo proposito di sentirla. Io e lei. Nessun altro e niente altro.


Non si tratta, quando si sta male, di negarsi in assoluto l'aiuto di qualcuno o di una doppia dose di camomilla, ma di concedersi uno spazio dove l'emozione possa avere tutta la nostra presenza.

In base alla 
Legge della Polarità, quando diamo spazio a un principio, in realtà apriamo la porta al suo opposto. Negarlo significa invece rimandarlo nell'ombra dove crescerà in modo smisurato.
Quando diamo spazio a un'emozione, apriamo la porta al suo trasmutarsi. Opponendoci a essa, e cercando di reprimerla, la spingiamo invece a mettere radici nel profondo, da cui emergerà con ancora più forza.
E' per questo che il contatto con le emozioni porta liberazione dalle stesse.

Occorre, come sempre, una certa dose di equilibrio interiore per muoversi nei territori delle emozioni, quindi se pensate che, contattando le vostre emozioni, potreste fare gesti folli o di cui pentirvene, ecco, fermatevi prima perché significa che avete perso la presenza.
Nell'abisso della marea ci si può buttare solo con presenza. Diversamente, si rischia di affogare!
Senza presenza, il contatto con l'emozione rischia di diventare identificazione totale e ciclo infinito che alimenta se stesso.

La presenza nasce dal principio della mente, emerge dalla decisione interiore (che è un atto mentale di consapevolezza) di esserci e lasciar essere.
Un conto è il "controllo", un altro è la vigile presenza che morbidamente accoglie ogni emozione e, così facendo, le permette di evolversi e trasmutarsi... ed è in quest'ultimo caso che la mente manifesta la sua "superiorità". Ma la differenza non sempre è colta dai più.

Il succo di tutto questo discorso è che tra l'identificazione totale con le emozioni, e il reprimerle attraverso il controllo mentale, esiste la strada di mezzo che è il contatto delle emozioni attraverso la presenza.


Non è la via più semplice né la più "larga", perché richiede di buttarsi consapevolmente dentro l'abisso... quando di solito ci si affoga dentro oppure si cerca di "contenerlo". 
Ma è una via che attiva trasformazioni interessanti, perlomeno per chi ha già provato le altre due e si è stancato dei soliti film - sempre uguali a se stessi - che propongono.


at sunset 3: photo take in Mozambique



"Se sono esseri superiori a noi perché non ci parlano chiaramente?"

"Tu sei un essere superiore a uno scarafaggio... Hai mai provato a parlare con lui?"
(Dal film "The Mothman Profecies")

Commenti

Fiore ha detto…
Ciao carissima. Non comprendo il perchè delle critiche. Ognuno affronta il cammino come è giusto che sia. Significa che tu hai bisogno di questo. Di affrontare le emozioni e "sentirle" per dominarle. Altri no.
Ma se il contrario di "sentire" è "reprimere", allora sono guai. Reprimere fa male...una sorta di bomba ad orologeria. Bacione.
Luciano ha detto…
Molto interessante, sto cercando di fare un lavoro simile..
Complimenti!
Camilla Ripani ha detto…
Ciao Elle, mi riferisco a quando un'emozione c'è e vuole essere vista, allora è bene che fluisca... ma molti la soffocano oppure si lasciano soffocare. Molti casi di fibromialgia, ad esempio, si possono far risalire a emozioni che sono state represse (vedere i lavori del prof. Allan Abbass). Negli altri casi ci saranno altri percorsi :)
Camilla Ripani ha detto…
Grazie. Alcuni di noi si trovano a che fare con queste cose, ogni tanto :)))
Joker ha detto…
Mmm, un buon soggetto per una bella "catarsi", se capisci cosa voglio dire :)
Luciano ha detto…
Eh già. Io soffro di maldistomaco, prima con dolori poi con impossibilità digestive, da tre anni ormai. Ho dovuto fare i conti con la repressione delle mie emozioni, ma dopo tutto questo tempo (e terapie) non ho risolto il problema alla radice.
Per questo mi interessava molto il discorso sulla 'presenza'. Potresti, se puoi, approfondire, come tu riesci a crearla (nel concreto)? Grazie, moltissime, della eventuale risposta !
Camilla Ripani ha detto…
Ciao Luciano, innanzitutto ti segnalo questo articolo su nonsoloanima.tv, molto interessante, dacci un'occhiata:
http://www.nonsoloanima.tv/index.php?controller=article&path=10&article_id=1614

Oltre alle terapie, hai preso in considerazione eventuali allergie o intolleranze? Io ad esempio ho dovuto tagliar via completamente il glutine.

Per quanto riguarda il contatto con le emozioni, anche quello è fondamentale. Il protocollo che io seguo (per altri problemi, ma credo valga in molti casi) è infatti fatto di attenzione allo stile di vita da una parte e lavoro sulle emozioni dall'altra.

Quanto alla "presenza", si tratta di *accogliere* i propri moti emotivi, così come sono, senza cercare di spingerli a essere altro, senza rifugiarsi in distrazioni o in ragionamenti alla ricerca dei "colpevoli".
Non è semplice per chi non sa come fare, qui ci vorrebbe un buon terapeuta.
In realtà pochissimi sanno stare nell'emozione senza farla "deviare"...
La presenza, comunque, può essere descritta come uno stato di osservazione senza giudizio, di partecipazione attiva e piena ma senza identificazione (suona un paradosso, e un po' lo è, come quando si parla di "desideri senza aspettativa", hai presente?). La presenza ci dona occhi per vedere. Punto, non c'è bisogno di altro.

Ma prima di abbracciare qualcosa, bisogna vederlo, contattarlo... Questa è la fase più difficile.
Se soffri di sintomi che non vanno via con nessuna terapia, e se le analisi mediche non indicano nessuna reale patologia che giustifichino i sintomi, potrebbe esserci anche un problema di repressione di una qualche emozione.
Il corpo, a mio giudizio, racconta sempre una storia che vuole essere vista nella sua verità.
Quindi il mio invito è, oltre a pensare alla "presenza", di assicurarsi che il "contatto" sia stato instaurato.

Io quando instauro davvero il contatto sento un sollievo fisico dai miei problemi e si attivano nuove risorse.
Ho fatto anch'io numerose terapie e visto numerosi terapeuti, ma quasi nessuno è stato utile ai fini di questo contatto.
In ogni caso considera che nessuna esperienza è davvero inutile e tutto serve a condurti là dove devi arrivare.
Camilla Ripani ha detto…
Spiegacelo meglio, se hai voglia :)
Joker ha detto…
Esiste un tipo di meditazione, divisa in varie fasi. Una di questi fasi è la catarsi: ovvero, bendati e in fase di profondo ascolto di sé stessi, si apre il "vaso di pandora". Cioè si cacciano fuori tutte quelle cose che si hanno dentro: e allora si urla, si insulta, è utile avere un cuscino morbido da sbattere per terra imprecando e dicendo le peggio cose, contro chi ci ha fatto arrabbiare. Oppure si può ridere, saltare, ululare, viene tutto molto spontaneo in quel momento.

Ed è una cosa così liberatoria: nell'ultima pratica di questa meditazione, durante la catarsi mi sono ritrovato a gridare "VA VIAAA!" piangendo in maniera disperata.

In una tua catarsi, potresti afferrare il cuscino e scatenare la tua rabbia contro quelli che la menano con il controllo mentale: "AAaaaaahHhh!!!! Ti spacco la faccia!!! Pezzo di merdaaaaa!!" e sbatti il cuscino con violenza per terra o sulle pareti.

Conoscevi già qualcosa di simile?
Camilla Ripani ha detto…
Ho fatto qualcosa di simile in passato. E se occorre, lo rifaccio. Alcuni amici mi hanno detto che non faceva per loro... ma "spingendoli" dolcemente a simili esperienze, ne hanno tratto gran sollievo, oltre a scoprire quante cose volevano urlare via... Ovviamente avevo visto che in loro l'emozione chiedeva di uscire. Siamo troppo intossicati da pensieri ed emozioni pesanti... Un po' di "liberazione" non fa mai male :)
Joker ha detto…
Il difficile è proprio lasciarsi andare... ma una volta rotti gli argini, addio, viene giù la montagna :)
Luciano ha detto…
Ciao Camilla,
scusa per il ritardo,
ho letto il post che mi hai segnalato. Peraltro, conosco Salvatore Brizzi, lo sono andato ad ascoltare portato da una mia amica, tempo fa, e da allora lo seguo su Internet leggendo quando ho tempo le sue argomentazioni.

Allergie e intolleranze? No, no tranquilla. Allergie in particolare non ne ho, per fortuna, mentre le intolleranze, come forse saprai sono dal punto di vista medico sostanzialmente una "invenzione". Non ci sono intolleranze, perché l'uomo essendo onnivoro può mangiare di tutto: naturalmente, se si mangia prevalentemente pasta e pane per anni, "sorprendentemente" si svilupperà un'intolleranza alla pasta, o alla farina (o alle uova, ecc.), che magicamente scomparirà riducendo o sospendendo l'assunzione di determinati cibi. Sono questioni legate a periodi temporali, che adesso per moda chiamiamo intolleranze. Si può scegliere cosa mangiare. Se invece si ha una vera allergia, le conseguenze sono serie e si vedono subito, e possono essere gravi.

Diverso è il discorso dei prodotto industriali, che ormai sono dappertutto, e che sicuramente contribuiscono a rendere difficile la digestione e appesantiscono fegato e reni, e la presenza invasiva di prodotti chimi presenti su frutta e verdura. Su quelli cerco di stare più attento.

Ti ringrazio per la tua precisa risposta. Da anni mi segue un gastroenterologo, e poi psicologi e psichiatri. Il mio problema risale proprio al contatto con le (mie e di altri) emozioni, che è difficile. (prima era quasi nullo, adesso con molto lavoro su me stesso e una maggiore attenzione alle stesse, posso arrivare a un 10%, forse). Quindi empatia, e ascolto delle emozioni.

Mi ha profondamente colpito il tuo post perché è proprio quello di cui parlo con coloro che cercano di sostenermi in questo percorso. Concordo con te che bisogna "abbracciare qualcosa, bisogna vederlo, contattarlo..." e che la "presenza" si accomuna a un problema di repressione di una qualche emozione-. C'è sicuramente l'emozione della rabbia, ma potrebbe essere un sintomo, e non una causa. E poi questa è di fatto una summa di un coacervo di più emozioni, varie e differenti, che non riesco a sentire ed identificare.

Ti chiedo quindi ancora un aiuto, se puoi, per cercare di comprendere quale metodo io possa usare per avvertire meglio le emozioni, perché è proprio nell'esperienza che trovo la mia fatica applicativa.
Grazie.
Camilla Ripani ha detto…
Ciao Luciano. Sei seguito da dei terapeuti che ti conoscono meglio di me, quindi non me la sento di darti ulteriori consigli. Una cosa, però, vorrei dirti comunque. Da ragazzina soffrivo di timidezza. E ho sempre pensato di aver perso occasioni nell'ambito del lavoro e dei rapporti umani a causa di questo "problema". Col senno di poi, posso dirti che la timidezza mi ha salvato da vie che credevo di dover prendere ma che non erano veramente "per me". Al posto tuo io non cercherei di "guarire" dal distacco emotivo, piuttosto mi metterei in ascolto silente... Cosa vuole dirmi? Mi sta salvando da etichette preconfezionate? E se fosse un modo attraverso il quale l'anima vuole condurmi verso territori più autentici per me? ... Il punto non è mai cercare di cambiare gli aspetti di noi, quanto fidarci del fatto che, se ci sono, è perché ci stanno aiutando ad andare verso noi stessi. Un problema non è automaticamente il sintomo che stiamo facendo qualcosa di sbagliato, quanto piuttosto l'invito ad andare oltre quello che crediamo essere giusto per noi. Sembra la stessa cosa... non lo è. Rimani in ascolto di quello che sei, così come sei, lasciati "guidare" dal distacco (anche questa è una forma di contatto). Se non "interferisci" con questo "seme", vedrai che darà i suoi frutti. Quelli giusti per te, e per nessun altro.

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