Le cause di quello che proviamo e di quello che avvertiamo, risiedono in quello che noi siamo oggi. Risiedono nel nostro presente, non nel passato. Se fosse vero il contrario, come generalmente si crede, non avremmo speranza di effettuare alcun cambiamento, perché potendo agire solo nel presente non ne ricaveremmo granché!
La mente "razionale" cerca sempre delle "cause" nel passato per "spiegare" il presente. I suoi pensieri tipici sono: "Se sono depresso o insoddisfatto, è perché nel mio passato è successo quel trauma"...
Brrr, è un modo di pensare a volte pericoloso! Toglie non solo la responsabilità di quello che si è, ma anche il potere di scegliere una strada diversa! Soprattutto, dà per assodato che le situazioni siano collegate in modo lineare e causale, piuttosto che attraverso magici salti quantici, o attraverso interessanti specchi alchemici che riflettono il proprio mondo interiore... nel tempo dell'adesso!
Ci sono persone che reagiscono a uno stesso trauma in maniera differente. Alcune lo superano facilmente e in loro non ne rimane traccia, altre invece ne vengono profondamente modificate e si trascinano dietro ombre e drammi ulteriori. In quest'ultimo caso, significa che il trauma ha trovato una risonanza: in qualche modo, esisteva già dentro la persona che lo ha accolto.
Se il programma "trauma" si mantiene vivo, è perché a ogni istante esiste in noi una configurazione che continua ad alimentarlo. Appena questa configurazione viene risolta, il "programma" muore.
Proprio così, la nostra attuale configurazione interiore alimenta il trauma e tutti i programmi depotenzianti che si sono installati di conseguenza.
Il trauma esiste nel nostro passato fino a quando noi lo teniamo in vita, attraverso quello che siamo oggi.
Occorre quindi agire nell'oggi.
Come?
... Quando emerge un pensiero o un'emozione collegata a una situazione traumatica, restiamo in ascolto, senza emettere giudizi né valutazioni. Ogni volta che perturbano la superficie della nostra vitalità, accogliamo queste "onde" con un atto di presenza.
Quando sopraggiunge uno stato di sofferenza, ascoltiamolo. Non pretendiamo di cambiarlo, non pretendiamo di soffocarlo. Stiamo con "lui", dolcemente, con presenza. Facciamogli un po' di compagnia, invece di giudicarlo o di lasciarcene spaventare. Occorre un po' di allenamento, e la disciplina del cuore... ma i tempi sono maturi e offrono possibilità di imparare in fretta.
Cosa scopriamo con questo "esercizio"?
... che le nostre emozioni sono vive adesso, non "ieri".
... che le nostre emozioni chiedono di essere ascoltate, accolte senza giudizio, come bambini disperati, bisognosi d'amore.
... che noi non siano le nostre emozioni, ma colui che le osserva nel tempo dell'adesso.
E' adesso che soffriamo, è adesso che abbiamo il disagio, è adesso che accade quel che accade.
Quanto avvenuto nel passato ha solo premuto un interruttore che ha aperto un cancello da cui sono uscite queste emozioni... ma esse sono "adesso". Smettiamola di andare a ritroso con la mente per cercare le cause, è solo un gioco della nostra personalità per distoglierci da noi stessi.
Non sto dicendo che nella vita non accadono cose spiacevoli (genitori, matrimonio, lavoro... ops), e che non bisogna parlarne, ma si abbia la consapevolezza che si tratta di interruttori che hanno aperto il cancello delle nostre emozioni sepolte.
Indagare a oltranza i dettagli di come è fatto l'interruttore (papà mi ha fatto questo, mio marito mi ha fatto quello, il mio capo mi ha fatto quell'altro...) può essere un gioco intellettuale molto utile, se abbiamo voglia di perdere tempo e di evitare di trasformarci davvero.
Se non siamo disposti a "riceverci", a vedere la nostra configurazione attuale, rischiamo di restare impantanati. Da bravi viandanti alla ricerca del tesoro nascosto, abbiamo il dovere di entrare in contatto con il nostro "codice interno", perché se non partiamo da quello che c'è qui e ora, rischiamo di svegliarci un giorno e realizzare di aver perso la vita a lamentarci di cose inesistenti
Dunque, possiamo continuare a pensare che siano certi "freddi genitori" a rendere insicuri i figli, oppure cominciare a guardare ai figli e al modo in cui essi portano dentro di sé i semi dell'insicurezza e della mancanza d'amore.
Possiamo continuare a pensare che l'ex fidanzato sia la causa della nostra depressione che dura da mesi, oppure guardare al nostro cuore e al modo in cui esso è inquinato dalla sfiducia e dal controllo.
Sfidati dal non-amore, possiamo diventare più forti, imparando ad amare.
I semi di quello che noi siamo albergano in noi stessi, e da nessun altra parte.
Il terreno, per quanto importante, non è la causa del tipo di pianta a cui il seme darà seguito, è solo la sua possibilità. Il seme è la causa di se stesso!
Prendendoci la responsabilità delle nostre emozioni, accogliendole con presenza nel momento in cui emergono, contattiamo la causa reale per quello che ci accade: noi stessi.
Nulla potremo fare, invece, se non riconosceremo di essere noi per primi il seme che vogliamo modificare.
La mente "razionale" cerca sempre delle "cause" nel passato per "spiegare" il presente. I suoi pensieri tipici sono: "Se sono depresso o insoddisfatto, è perché nel mio passato è successo quel trauma"...
Brrr, è un modo di pensare a volte pericoloso! Toglie non solo la responsabilità di quello che si è, ma anche il potere di scegliere una strada diversa! Soprattutto, dà per assodato che le situazioni siano collegate in modo lineare e causale, piuttosto che attraverso magici salti quantici, o attraverso interessanti specchi alchemici che riflettono il proprio mondo interiore... nel tempo dell'adesso!
Ci sono persone che reagiscono a uno stesso trauma in maniera differente. Alcune lo superano facilmente e in loro non ne rimane traccia, altre invece ne vengono profondamente modificate e si trascinano dietro ombre e drammi ulteriori. In quest'ultimo caso, significa che il trauma ha trovato una risonanza: in qualche modo, esisteva già dentro la persona che lo ha accolto.
Se il programma "trauma" si mantiene vivo, è perché a ogni istante esiste in noi una configurazione che continua ad alimentarlo. Appena questa configurazione viene risolta, il "programma" muore.
Proprio così, la nostra attuale configurazione interiore alimenta il trauma e tutti i programmi depotenzianti che si sono installati di conseguenza.
Il trauma esiste nel nostro passato fino a quando noi lo teniamo in vita, attraverso quello che siamo oggi.
Occorre quindi agire nell'oggi.
Come?
... Quando emerge un pensiero o un'emozione collegata a una situazione traumatica, restiamo in ascolto, senza emettere giudizi né valutazioni. Ogni volta che perturbano la superficie della nostra vitalità, accogliamo queste "onde" con un atto di presenza.
Quando sopraggiunge uno stato di sofferenza, ascoltiamolo. Non pretendiamo di cambiarlo, non pretendiamo di soffocarlo. Stiamo con "lui", dolcemente, con presenza. Facciamogli un po' di compagnia, invece di giudicarlo o di lasciarcene spaventare. Occorre un po' di allenamento, e la disciplina del cuore... ma i tempi sono maturi e offrono possibilità di imparare in fretta.
Cosa scopriamo con questo "esercizio"?
... che le nostre emozioni sono vive adesso, non "ieri".
... che le nostre emozioni chiedono di essere ascoltate, accolte senza giudizio, come bambini disperati, bisognosi d'amore.
... che noi non siano le nostre emozioni, ma colui che le osserva nel tempo dell'adesso.
E' adesso che soffriamo, è adesso che abbiamo il disagio, è adesso che accade quel che accade.
Quanto avvenuto nel passato ha solo premuto un interruttore che ha aperto un cancello da cui sono uscite queste emozioni... ma esse sono "adesso". Smettiamola di andare a ritroso con la mente per cercare le cause, è solo un gioco della nostra personalità per distoglierci da noi stessi.
Non sto dicendo che nella vita non accadono cose spiacevoli (genitori, matrimonio, lavoro... ops), e che non bisogna parlarne, ma si abbia la consapevolezza che si tratta di interruttori che hanno aperto il cancello delle nostre emozioni sepolte.
Indagare a oltranza i dettagli di come è fatto l'interruttore (papà mi ha fatto questo, mio marito mi ha fatto quello, il mio capo mi ha fatto quell'altro...) può essere un gioco intellettuale molto utile, se abbiamo voglia di perdere tempo e di evitare di trasformarci davvero.
Se non siamo disposti a "riceverci", a vedere la nostra configurazione attuale, rischiamo di restare impantanati. Da bravi viandanti alla ricerca del tesoro nascosto, abbiamo il dovere di entrare in contatto con il nostro "codice interno", perché se non partiamo da quello che c'è qui e ora, rischiamo di svegliarci un giorno e realizzare di aver perso la vita a lamentarci di cose inesistenti
Dunque, possiamo continuare a pensare che siano certi "freddi genitori" a rendere insicuri i figli, oppure cominciare a guardare ai figli e al modo in cui essi portano dentro di sé i semi dell'insicurezza e della mancanza d'amore.
Possiamo continuare a pensare che l'ex fidanzato sia la causa della nostra depressione che dura da mesi, oppure guardare al nostro cuore e al modo in cui esso è inquinato dalla sfiducia e dal controllo.
Sfidati dal non-amore, possiamo diventare più forti, imparando ad amare.
I semi di quello che noi siamo albergano in noi stessi, e da nessun altra parte.
Il terreno, per quanto importante, non è la causa del tipo di pianta a cui il seme darà seguito, è solo la sua possibilità. Il seme è la causa di se stesso!
Prendendoci la responsabilità delle nostre emozioni, accogliendole con presenza nel momento in cui emergono, contattiamo la causa reale per quello che ci accade: noi stessi.
Nulla potremo fare, invece, se non riconosceremo di essere noi per primi il seme che vogliamo modificare.
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